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Lhasa Apso, "Made in Tibet"

Il fascino indiscusso del lhasa arriva da lontano. Le sue origini si perdono tra gli altipiani del “tetto del mondo”, il Tibet. Lhasa ne è la capitale e “apso” significa “solerte guardiano”. Utilizzato come cane da compagnia di monadi, monaci e pastori e soprattutto per la guardia ai monasteri, era considerato un animale sacro.

Le prime tracce scritte di questa razza si ritrovano infatti in molti testi religiosi. Anche il Dalai Lama ne era sempre circondato e i suoi cani lo seguivano anche in tutti i suoi numerosi e frequenti spostamenti.
Le origini di questa razza sviluppatasi in un ambiente così peculiare e particolare pone interrogativi su quanto abbia giocato la selezione naturale versus quella umana. Frutto senza dubbio di entrambe, l’intervento umano ha senz’altro determinato alcune caratteristiche quali la taglia, il colore, il carattere, ma va riconosciuto anche il ruolo assai più rilevante delle condizioni ambientali così difficili e particolari che ne ha influenzato largamente la sua selezione basata sulla mera sopravvivenza.
Il Lasha ( e i cani tibetani) sono, insieme alle razze esquimesi tra le più selezionate in funzione dell’ambiente. Il Tibet è situato su un altipiano a 4000 metri, circondato a sud e occidente dall’Himalaya (8700 m) e a nord dal Kunlun Shan (7500 m). La latitudine è dai 30 ai 35 gradi (la stessa della Florida del Nord) così che l’intesa radiazione solare è sub tropicale, mentre l’altitudine tiene temperature sub artiche. Il clima è arido e freddo, e si può osservare la steppa in Amdo e il deserto a nord. L’unica forma di agricoltura è possibile solo nella valle. I tibetani hanno allevato i loro animali in un territorio inospitale, dove la vita è regolata esclusivamente “dalla montagna”.
Un’interessante chiave di lettura in tal senso viene proposta da C. Marley, M.D. Biologo e fisico, nonché allevatore di Lhasa. La tesi di Marley tende a dimostrare convincentemente come il lasha sia un prodotto di una selezione naturale di adattamento all’ambiente, che imprime indelebilmente il marchio di “Made in Tibet” al lhasa. L’altitudine, la siccità, il terreno arido, l’escursione termica (si registrano fino ai 49°C del giorno mentre nella notte la temperatura scende sottozero), vento freddo costante insieme all’atmosfera rarefatta e povera di ossigeno (una persona sana può sviluppare con estrema facilità edema polmonare) tutti questi fattori ambientali “formarono” il Lasha apso.. I tibetani erano infatti prevalentemente nomadi o pastori. Mentre i cani grandi servivano per il gregge, quelli di piccola taglia venivano utilizzati da compagnia e come sentinelle nei monasteri o sotto le tende. I lhasa dividevano la vita dura dei loro padroni e morivano o sopravvivevano a seconda di quanto potessero sopravvivere all’ambiente ostile, alle malattie e ai parassiti. In tali circostanze è fondamentale mantenere il calore del corpo quindi è importante avere una buona massa muscolare, diminuire la superficie di dispersione del corpo (estremità corte e tronco compatto) e una forte capacità di isolamento (mantello e grasso corporeo). L’altra sfida ambientale è quella di limitare gli effetti dell’irradiazione solare. Questo si contrasta con il “coprirsi” (mantello) e con un grande apparato respiratorio. Per vincere la sfida dell’altitudine è importante, ancora una volta, essere dotati di una grande capacità di respirazione, vie aeree grandi e funzionali, efficienza strutturale, e anche aggiustamenti chimici (grande volume dei globuli rossi e emoglobina per trasportare di ossigeno). Il terreno impervio di un altopiano arido, disconnesso, polveroso e con continui dislivelli necessita inoltre di buone capacità fisiche e muscolari per arrampicarsi e saltare facilmente. Questi i grandi imperativi biologici del Tibet a cui il lhasa si è adattato. Tratti che si ritrovano puntualmente nelle caratteristiche descritte dallo standard.


Il primo standard della razza risale al 1901 a firma di Sir Lionel Jacob, ingegnere governativo e organizzatore del Kennel club indiano. Lo standard fu applicato per la prima volta all’esposizione cinofila indiana del 1904. Jacob scrive su “dog owner annual del 1901: "The Tibetan, Bhutan or Lhasa Terrier, is now usually allowed to be a distinct breed, and perhaps of all others it merits the distinction. […] The Lhasa Terrier has now (i.e.:1900) found a foothold in India and is bred there, though not in considerable numbers. At one time it was only to be obtained in its purity at Lhasa, and the breed was once, it is said, jealously guarded by the Buddhist priests. But, traders finding a demand among the dog loving public of India, contrived to convey specimens to Leh and Kashmir, westward, and to Darjeeling, eastward." Lo standard redatto da Jacob è stato utilizzato nelle esposizioni indiane e inglesi fino al 1934. Il primo campione inglese è stato Rupso, nel 1908, alla sua morte (nel 1917) fu imbalsamato. Oggi si può vedere al British Museum. Negli anni ’20 Baily, membro di una missione politica inglese in India importò i primi esemplari in UK mentre un suo amico Suydham Cutting negli anni ’30 importò altri soggetti in US che diede vita alla linea di sangue Hamilton. Negli stati uniti alcuni allevatori hanno mantenuto questa linea di sangue quasi integra nel tentativo di conservare negli anni lo stesso tipo di lhasa descritto nel primo standard. In Italia il primo Lhasa fu portato in esposizione solamente nel 1968.
Lo standard in vigore lo descrive come un piccolo cane vigoroso, robusto, ben proporzionato, con abbondante mantello. Il carattere è allegro e deciso, sveglio, serio, a volte riservato con gli estranei (funzione di cane sentinella) ma molto socievole con il suo padrone con cui vive a stretto contatto. E’ dotato di una straordinaria sensibilità che lo rende un ottimo guardiano e riesce a captare disastri naturali quali terremoti e valanghe. Il lhasa deve essere calmo, intelligente, attento e indipendente. Un lhasa non può permettersi di essere iperattivo affaticandosi e sperperando energie importanti. Questo atteggiamento, vincente sull’Himalaya, è a volte controproducente in un ring da esposizione. La testa è importante con abbondante cascata di peli ricadenti sopra gli occhi, folta barba e baffi. Il cranio è moderatamente stretto e si avvalla sensibilmente dietro gli occhi, non completamente piatto ma neppure a cupola o a forma di mela. Stop medio. Tartufo nero. Canna nasale diritta ma non squadrata lunga circa 4 cm. La sua lunghezza, misurata dall'estremità del tartufo al livello degli occhi, deve essere circa 1/3 della lunghezza totale della testa misurata dalla punta del naso alla cresta occipitale. Gli occhi sono scuri, di medie dimensioni, piazzati frontalmente, ovali, ne' grandi e globosi ne' piccoli o infossati. Non si deve vedere il bianco del globo oculare ne' in alto ne' in basso. Spesso le ciglia sono folte e lunghe, nel clima tibetano tenevano il folto mantello degli occhi a “mo di tenda” davanti agli occhi come protezione al vento e alla polvere. L’espressione è vigile e sveglia, ne troppo dolce ma neanche cattiva. Orecchie: pendenti, pesantemente frangiate. Bocca: gli incisivi superiori si chiudono appena all'interno degli inferiori, chiusura a forbice rovesciata. Arcate dentali ampie in modo che gli incisivi si possano disporre su una linea il più diritta possibile. E' desiderabile una dentatura completa. Collo: forte e ben arcuato. Anteriore: spalle ben inclinate all'indietro. Arti diritti abbondantemente ricoperti di pelo. Corpo: la Lunghezza dalla punta della spalla alla punta della natica é maggiore dell'altezza al garrese. Buona cassa toracica. Linea superiore diritta e orizzontale. Reni forti. Corpo proporzionato e compatto. Arti Posteriori: ben sviluppati con buona muscolatura. Ben angolati. Abbondantemente ricoperti di pelo. Garretti, visti da dietro, paralleli tra loro e non troppo ravvicinati. Piedi: rotondi, da gatto, ben forniti di pelo, con cuscinetti plantari solidi. Movimento: libero, sciolto, brioso, e spavaldo Mentre lo standard è abbastanza lacunoso sul movimento, l’ambiente ha richiesto una camminata efficiente e da svolgere “in economia di energie”, una qualità comune agli altri animali da montagna. Capace di percorrere lunghi tratti di strada al passo di uomini e cavalli. Il suo posteriore è forte così come il rene, la groppa moderatamente inclinata. Quindi il suo trotto naturale deve essere efficiente e coprire il più vasto territorio possibile, senza rulii o cedimenti della linea superiore, dando l’impressione di muoversi senza sforzo. Forza, agilità, bilanciamento, scioltezza più che movimenti eccessivi perché sprecherebbero energie preziose (nella loro terra natia). Proprio per questo la discussione rovente che ha imperversato tra allevatori e giudici sul “rear kick-up” non deve assumere connotazioni eccessive. Coda: inserita alta, portata ben al di sopra della schiena e non a uncino. Alla sua estremità ci può essere un nodo. Ben frangiata. Il mantello, formatosi per prevenire le insolazioni e come isolamento dalle intemperie sugli altipiani tibetani, è motivo di molto del fascino odierno di questa razza orientale. Il mantella ha un pelo di copertura, lungo, pesante, diritto e duro, mai lanoso o setoso. Il pelo è duro ma non ruvido. Simile alla tessitura dei capelli. Il sottopelo è moderato, sottile e morbido ma mai corto e lanoso. La pesantezza del pelo è sorprendente. Si dovrebbe pesare il cane prima e dopo averlo rasato! Colore: oro, miele, sabbia, grigio scuro, ardesia, fumo, nero, bianco, marrone e pluricolore. Tutti ugualmente accettabili. Contrariamente al pelo l’importanza che le mucose siano tutte pigmentate per difendersi dai raggi solari è di enorme rilevanza. Taglia: il lasha deve esser un cane da poter essere preso facilmente in braccio, ma deve anche poter sopravvivere al clima tibetano con le giuste proporzioni del tronco che vuole un cane iscritto nel rettangolo (che permette una migliore conservazione del calore e ospitare ampi polmoni per respirare ad alta quota), torace ben sviluppato nelle tre dimensioni (abbastanza arrotondato e profondo), rene forte. Il rettangolo è dato più dagli arti raccorciati (ma non troppo perché perderebbe la capacità di muoversi agilmente sul terreno impervio) che da un tronco lungo che diventerebbe non funzionale per la troppa dispersione di calore. L’altezza al garrese ideale per un maschio è di 25, 4 cm. Le femmine un po’ più piccole. Difetti: ogni deviazione dai punti precedenti deve essere considerata come difetto. L'importanza da attribuirgli dipende dalla sua gravità. Note: Ogni maschio deve avere due testicoli apparentemente normali completamente discesi nello scroto.
Carattere
I cani di questa razza in Italia sono ancora relativamente poco conosciuti rispetto ad altri paesi europei e agli Stati Uniti. Il Club Cani Compagnia che tutela la razza nel nostro Paese si adopera per divulgare e far conoscere al grande pubblico le straordinarie caratteristiche di questa razza dal fascino quasi magnetico. Allegri e vivaci ma dotati di forte temperamento, abbaiano pochissimo e sono validi guardiani; viste le origini, il freddo e le intemperie non li spaventano. Sono in grado di aspettare soli in casa il ritorno del padrone con pazienza e tranquillità senza abbandonarsi ad isterismi. A volte molto testardi, sono sensibili e delicati emotivamente ed è importante che durante il periodo di passaggio da cucciolone ad adulto siano evitati traumi. Sano e robusto si ammala difficilmente, mangia con appetito e non da assolutamente problemi per l'alimentazione. Se tenuto bene vivrà a lungo e in buonissima forma. Rispetta e ama profondamente il suo padrone, ama giocare teneramente con i bambini ma vuole essere rispettato. Tutto quello che farà per il padrone lo farà per amore e mai per costrizione, adattandosi a tutte le situazioni anche le più inusuali con quella tranquillità interiore che lo rende unico. Le femmine sono delle madri esemplari, difenderebbero i loro figli in qualsiasi situazione fino alla morte, educano la prole con grande dolcezza ma anche con grande rigore, i cuccioli devono imparare presto a rispettare le regole del branco. Non amano litigare e se provocati cercano una soluzione bonaria, ma se l'avversario è un vero attaccabrighe certamente non battono in ritirata

Cura del mantello
Imparare a curare il mantello nel modo giusto aiuta risparmiare tempo e tenere il vostro cane in salute. Contrariamente a quanto si pensi il segreto nella cura dei manti a pelo lungo non è tanto nel prodotto da usare ma nella costanza e coerenza di chi se ne prende cura.. perciò tanta pazienza, delicatezza e.. olio di gomito!
Una delle raccomandazioni di base è quella di tenere lontani i parassiti, soprattutto le pulci. Il cane si gratterebbe, si formerebbero nodi e irritazioni con relativa perdita di pelo a chiazze.
Utilizzare sempre prodotti specifici per cani, e mai troppo aggressivi. Evitare prodotti con silicone o troppo grassi. La lacca può indurire il pelo fino a renderlo fragile da spezzarsi. Shampoo e balsamo non devono contenere sbiancanti ma essere il più possibile naturali e delicati. Lavando spesso il cane la cura quotidiana è più semplice poiché pettine e spazzola scivolano via più facilmente. Sciacquare sempre perfettamente il mantello. C’è chi lascia del balsamo (al fine di proteggere e nutrire) sul mantello tra un’esposizione e l’altra. In tal caso è sempre importante verificare che il pelo intriso del prodotto non si rovini sotto il phon: non si sa mai come la chimica dei prodotti reagisca al calore. A proposito di phon, usare temperature moderate e getto non troppo forte. Mentre si asciuga spazzolare delicatamente senza graffiare la pelle nella stessa direzione del pelo. Ma come individuare il momento giusto per lavare il cane? Quando la spazzolatura diventa difficoltosa è ora “del bagnetto”, ricordandosi sempre però di togliere prima tutti i nodi! Quando si spazzola ricordarsi di inumidire leggermente il pelo. Prendere uno spruzzatore comune e diluire in acqua uno o due cucchiai di balsamo o altro prodotto districante o nutriente. Se si formano dei nodi la regola d’oro è quella di ricordarsi non di togliere il nodo ma di liberare il pelo dal nodo!
Una volta che il cane è pulito e senza nodi sovente i baffi, la barba, il ciuffo vengono “impachettati” con carta ed elastico. Tale pratica protegge il pelo ma non è facile da imparare e il cane deve essere sotto controllo, almeno finché non si abitua.

 

 

 

 

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